Palestinesi: dopo aver da prima cercato di negare ogni coinvolgimento nella morte di oltre 100 palestinesi, ammassati a Gaza per ottenere aiuti umanitari, Israele ora ammette che alcuni, forse qualche decina, tra i morti e i quasi 800 feriti, sarebbero stati colpiti dal fuoco israeliano.
di Dario Lucisano per lindipendente.online.
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Palestinesi. Nella sua linea generale, la versione ufficiale di Tel Aviv su quella che sta già iniziando a prendere il nome di “strage della farina” del 29 febbraio resta comunque la stessa: le centinaia di feriti sarebbero stati travolti dalla calca in cerca di aiuto, finendo calpestati dai propri concittadini e investiti dai camion, dando così luogo a uno «sfortunato incidente». La colpa, insomma, sarebbe dei palestinesi che si sono accalcati e calpestati a vicenda.
Eppure, stando ai primi rapporti ospedalieri, convalidati da alcune delle testimonianze dei presenti, circa l’80% delle persone coinvolte nell’incidente riporterebbe ferite da arma da fuoco. Le reazioni internazionali a tal proposito sono state contrapposte e solo in pochi hanno deciso di esporsi e accusare direttamente Israele del massacro del 29 febbraio. Mentre gli USA, al solito, hanno posto il veto su una risoluzione di condanna verso Israele proposta al Consiglio di sicurezza dell’ONU.
La strage del 29 febbraio di Palestinesi ha coinvolto un numero ancora indefinito di persone, e per ora si parla di almeno 115 morti e oltre 760 feriti. Le versioni su ciò che è accaduto, invece, sono contrastanti. Israele insiste nell’affermare che spari e morti si sono verificati in seguito a due “incidenti” distinti: all’arrivo dei camion umanitari, centinaia di civili si sarebbero messi all’inseguimento dei veicoli, ammassandosi nel tentativo di recuperare del cibo, e venendo così calpestati dalla calca e travolti dai veicoli;
in parallelo, alla coda del convoglio, un gruppo di persone si sarebbe avvicinato ai militari delle Forze di Difesa Israeliane, incaricate di assicurare la consegna degli aiuti umanitari, ignorando gli spari di avvertimento indirizzati in aria, e finendo per “costituire una minaccia” nei confronti dei soldati di Tel Aviv, che a quel punto si sarebbero visti costretti ad aprire il fuoco, comunque neutralizzando la minaccia con “spari non letali”.
La maggior parte dei morti e dei feriti, dunque, sarebbero stati calpestati della ressa e investiti dai camion.
La versione fornita dai Palestinesi di Tel Aviv è diversa da quella che riporta Hamas, ed è confermata da un solo testimone palestinese, che ha rilasciato una testimonianza a BBC, la quale scrive che “la maggior parte delle persone che hanno perso la vita sono state investite”. Essa, però, cozza con la maggior parte delle altre testimonianze oculari, come riportano la stessa BBC, Al Jazeera, e il New York Times, così come alcuni video che mostrano camion che trasportano cadaveri, uno dei quali verificato dall’agenzia di stampa Reuters.
Del tutto diversa, afferma ANSA, sarebbe anche l’evidenza dei fatti che emerge da un primo rapporto ospedaliero del direttore ad interim dell’ospedale al-Awda di Jabalia, convalidato anche dal portavoce del Segretario Generale delle Nazioni Unite Stephane Dujarric. In generale secondo le fonti ospedaliere la maggior parte delle persone coinvolte nella strage riportano ferite da armi da fuoco, tanto che in proporzione 4 persone su 5 sarebbero state colpite da un proiettile.
La reazione internazionale pare essere stata quella di una generale preoccupazione per quanto accaduto, ma fatta esclusione per il mondo arabo, solo pochi leader occidentali hanno riconosciuto la responsabilità dell’evento a Israele: tra questi il Presidente francese Emmanuel Macron, che ha condiviso un post su X in cui scrive che «i civili sono stati presi di mira dai soldati israeliani», così come la Ministra per gli Affari Esteri tedesca Annalena Baerbock, che ha chiesto spiegazioni all’esercito israeliano, e l’Alto Rappresentate per gli Affari Esteri dell’UE Josep Borrell, che ha parlato di «strage», senza tuttavia fare direttamente il nome di Israele.
Più timida, invece, la risposta del Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, e della Presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che, assieme al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres hanno chiesto una indagine sull’accaduto. Secondo l’agenzia di stampa turca Anadolu, inoltre, gli Stati Uniti avrebbero bloccato una bozza di risoluzione “contenente osservazioni critiche nei confronti dello Stato ebraico”.
Le limitate denunce dirette a Israele sono accompagnate da una sempre crescente pressione per imporre il cessate il fuoco, e dalla preoccupazione che tale evento possa comprometterne i negoziati. Quest’ultima è affiancata dal timore per le condizioni umanitarie in cui versano i civili di Gaza, che dopo i vari stop ai finanziamenti all’UNRWA possono contare su ben poco supporto. Secondo l’Osservatorio per i Diritti Umani, il governo israeliano starebbe usando la fame dei civili come strumento di guerra nella Striscia di Gaza, infatti l’arrivo di aiuti risulta sempre più reso difficile dallo stato di assedio totale in cui si trova la Striscia.
A tal proposito l’arrivo degli aiuti via aria che sta venendo portato avanti in questi giorni, per quanto possa in un certo senso aggirare la sostanziale chiusura dei corridoi umanitari, non può che rivelarsi solo in minima parte efficace: come scrive Michele Giorgio su Il Manifesto, i pacchi sono infatti pochi, poco riforniti e spesso lanciati alla rinfusa, tanto da finire in mare. Lungi dal trovare una soluzione all’imminente disastro umanitario in corso nella Striscia, insomma, pare si stia tappando una voragine con una pezza, alzando nel frattempo la voce in maniera contenuta e soprattutto poco incisiva.