Elezioni: l’astensione primeggia. Le destre si affermano in Europa. Il Pd recupera in Italia. I 5 stelle dimezzano i voti. Oltre le analisi sullo spostamento dei consensi, che cosa si può osservare su questa “anomala” situazione?
di Davide Amerio per comedonchisciotte.org
Elezioni e risultati. Ci si può consolare osservando come la coalizione di governo abbia, in realtà, perso voti; oppure con la soddisfazione (minima) di vedere il duo più inutile della politica italiana (Renzi- Calenda), finalmente escluso dalla competizione. Pure una certa soddisfazione ce la regala la Bonino ma, in realtà c’è poco da consolarsi.
L’astensione in crescita, oltre il 50%, indica chiaramente una crisi della Democrazia, o meglio: una crisi inevitabile della rappresentazione democratica dei partiti ridotti a comitati d’affari. Le persone sfiduciate crescono di numero: non solo non si sentono rappresentate, ma hanno perso fiducia sul potere del loro voto di incidere, realmente, nella vita politica quotidiana.
Oltre i numeri e le percentuali, c’è l’evidenza di un sistema sofferente. Il tracollo dei 5 Stelle pone il movimento/partito di fronte alle responsabilità di contraddizioni mai pienamente risolte (e di cui ho scritto ampiamente a suo tempo*): ma non è certo una buona notizia questa! Perché quella richiesta di cambiamento della politica, della società, dell’economia, che aveva trovato nei 5S la principale ragione di sostegno, è ancora presente nel paese, ma vive alla deriva, in isolamento e frustrata.
Sono diversi gli elementi da considerare, e molti i pericoli che stiamo correndo, in questo contesto sempre più confuso e non privo di isteria. La politica italiana viaggia, da almeno 30 anni, su tre binari paralleli: la mistificazione, la menzogna, e la prescrizione (per garantire impunità).
Con l’avvento del berlusconismo, e una martellante propaganda di una finta rivoluzione liberale, la politica è stata espropriata dei suoi contenuti “ideologici” per diventare una merce, un prodotto da “vendere” in occasione degli appuntamenti elettorali. L’unico obiettivo è il “profitto”, diretto e indiretto, che può generare l’accumulo di voti. Difatti non sono rari i casi in cui sono direttamente certi politici ad avvalersi della criminalità organizzata per raccattare consensi a qualunque costo.
Le persone si sono adattate a questa logica del consumismo applicato alla politica: voto scegliendo il partito in base alla sua “confezione” e ai suoi slogan. Poco importa questi corrispondano al vero, alla concreta possibilità di realizzo: è sufficiente l’impressione di avere un prodotto che risponde ai desiderata, ai propri convincimenti o pregiudizi.
La così detta “sinistra” ha abdicato, dal crollo del Muro dell’’89, al compito che le era assegnato dalla storia: il cambiamento del modello economico liberista per realizzare una società più equa, giusta, e solidale. Tutto il gruppo dirigente della sinistra, dai D’Alema ai Letta, passando per Renzi, si sono adeguati (rassegnati? Complici?) a quella cattiva interpretazione della “Fine della Storia” tracciata da Fukuyama.
Egli aveva – come ha spesso ribadito -, posto una domanda, di fronte all’affermarsi dei sistemi liberal democratici attraverso la “quarta ondata”, e con la fine del sistema sovietico (e di alcune importanti colonizzazioni): la “storia” poteva dirsi finita? Il sistema liberal democratico si sarebbe affermato in tutti i paesi del mondo portando pace e prosperità grazie agli scambi commerciali, e a un pianeta sempre più interconnesso?
Non era una affermazione, come invece ha voluto interpretare il pensiero neoliberista, esperto appunto nella mistificazione e manipolazione del pensiero altrui: arrivando a farci credere che viviamo nel migliore dei mondi possibili, e che non esiste alternativa a questo sistema.
Gli ultimi 25 anni ci raccontano un’altra storia. La democrazia nel mondo è regredita, le crisi del sistema economico sono aumentate in frequenza e in ampiezza, la sfiducia nelle istituzioni democratiche è cresciuta a dismisura, lo scambio commerciale è sbilanciato, le guerre nel mondo imperversano, i fondi finanziari e le corporation spadroneggiano a livello mondiale, il globalismo ha impoverito molti popoli, e la “lotta commerciale” si sta evolvendo in una tragica nostalgia di una “guerra concreta” per ridefinire i rapporti di potere.
Parole d’ordine come “ambiente”, “green”, “intelligenza artificiale”, “politiche gender”, “sovranità”, assumono sempre più contorni indefiniti e contradditori, slogan a buon mercato, e spaventano le persone, all’interno di un contesto dove sono in molti a percepire un sistema politico che chiede i voti, ma poi agisce negando ciò che aveva “promesso” o prospettato.
In questo l’Unione Europea gioca un ruolo tristemente primario. Malata di un deficit di democrazia, infettata dalla filosofia neoliberista, sbilanciata nei rapporti tra gli stati membri, impone cicli di austerity fossilizzati su regole di macroeconomia inadeguate alle singole realtà nazionali. Pur di negare questi deficit politici, oggi paventa la necessità di una militarizzazione comunitaria: una fuga in avanti verso il disastro di una Europa bellicista cui pare due guerre mondiali non abbiano insegnato nulla.
Come ho evidenziato scrivendo del “Bilderberg”, costoro fanno parte di una filosofia neoliberista che ha obiettivi e strategie ben precise ed elaborate per raggiungerli. Ciò che manca oggi è un soggetto politico in grado di formulare un progetto alternativo – ideologico-, non frutto di improvvisazione, e nemmeno di parole d’ordine moderniste (green et similia) con contenuti equivocabili e discutibili.
Se il Movimento 5S vuole recuperare un ruolo politico, deve misurarsi con questa questione, e assumersi l’onere e l’onere di elaborare un progetto completo indipendentemente dalle possibili alleanze. Solo ripristinando il ruolo ideologico di un progetto si può pensare di affrontare la crisi di fiducia. Se si è troppo simili agli altri, o si ha paura di affermare, con forza e determinazione, che questo sistema economico non è adeguato al presente (e al futuro) ma, anzi, è il principale generatore delle crisi geopolitiche, europee, e interne agli stati, si è destinati all’irrilevanza.
Ci sarà sicuramente un prezzo da pagare per questo. Ma cambiare l’allenatore (il Conte della situazione) è un artificio di breve respiro, se non esiste una “strategia” e una “pianificazione” progettuale di lungo periodo. Il M5S può avere le carte in regola per affrontare questa sfida, non ostante gli errori macroscopici commessi (leggi da ultimo l’appoggio a Draghi e la modifica costituzionale del numero dei parlamentari), ma proprio in virtù di questi (che dovrebbero aver insegnato qualcosa, si spera…).
Recentemente Ugo Mattei, in una intervista con Claudio Messora (Byoblu), ha illustrato come agisce il sistema economico neoliberista. La sua esperienza maturata a Napoli nel ridefinire il ruolo pubblico dell’azienda che gestisce l’acquedotto, con esiti assolutamente positivi, mette in luce come una gestione “onesta” dei “beni pubblici”, e quindi del ruolo istituzionale dello Stato, conduce a brillanti risultati economici e di servizio pubblico. Ma ciò non è sufficiente se non si tiene conto che i neoliberisti hanno sempre come obiettivo il discredito dello Stato (sempre inefficiente per loro) per far prevalere l’interesse del privato (come se questo fosse assiomaticamente portatore di efficienza assoluta dovuta alla ricerca del profitto).
Una lezione importante che avrebbe potuto essere felicemente replicata in altri luoghi, rispondendo in tal modo al segnale che 23 milioni di cittadini avevano dato con il Referendum sull’acqua pubblica, ma che ha subito una fermata a causa di una azione legale intrapresa ai danni dello stesso Mattei, con esito finale a lui favorevole, durata diversi anni.
Proprio dal ruolo dei “beni pubblici” e dal ruolo dello Stato nell’economia occorre ripartire, discriminando le mistificazioni e le menzogne neoliberiste, nonché l’invadenza e la bramosia bulimica dei partiti troppo proni ai poteri forti, e sempre a caccia di profitti privati quanto di privilegi personali.